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Lo specifico della fede che nasce dalla Bibbia è credere che in ogni caso, al di là di ogni apparenza e anche di ogni realtà, il Signore di Israele e di Gesù ha il potere di agire nella storia ed effettivamente agisce in essa. E noi siamo chiamati a cogliere questa sua presenza attiva e ad impegnarci a nostra volta ad agire nella storia, accanto a Dio e in virtù della sua forza che ci dona, sapendo che proprio perché lui è il Signore anche della storia, “la nostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15, 58).
Quest’uso buono e attivo della forza della speranza che ci è stata donata è la nostra responsabilità di credenti. Una responsabilità che raramente abbiamo esercitato, e questo è stato e è ancora il grande peccato della cristianità.
A questo ci richiama il nostro testo d’oggi in Isaia.
All’inizio abbiamo parlato di “elezione”, di una scelta particolare operata da dio nei confronti di un popolo, che per questo è “il suo” popolo. Sappiamo quanto questo concetto, applicato alla storia, sia stato e sia difficile, e anzi spesso sorgente di soprusi e tante sofferenze. Tutta la storia del popolo e della terra di Israele ci ammonisce su questo fino ad oggi…
Ma l’elezione così come è stata presentata dal nostro oracolo: il particolare sguardo d’amore di Dio per coloro che lui vede “preziosi e stimati” al suo cospetto, non esclude affatto gli altri, e anzi la liberazione che Dio opererà nei confronti del suo popolo, si estenderà a tutti i deportati a Babilonia di tutti quanti gli altri popoli, indipendentemente dalla loro storia e dalla loro fede: ogni singolo esule, se vorrà, potrà partire “verso Oriente e Occidente, e verso Settentrione e Mezzogiorno”… ognuno potrà tornare a casa sua… Ecco allora che l’amore di Dio per Israele si dilata ad amore verso tutti, perché poi, alla fine, tutti sono stati “plasmati” da lui, tutti “portano in sé il nome del Creatore”…
La nostra fede nel Signore della Bibbia, la consapevolezza riconoscente della nostra elezione, deve anch’essa sapersi dilatare come amore verso tutti ed ognuno, in quella prospettiva universale che è la sola davvero degna del Signore di Israele e della chiesa, che prima ancora è il Signoredel creato, il Padre dell’intera umanità.
Allora questo testo tutto così centrato su Israele, ci insegna invece – se lo sappiamo leggere alla luce degli eventi della storia da cui esso nasce e a cui si riferisce – che Dio è il Dio della liberazione do ogni popolo oppresso, il redentore fedele dei più deboli, a cui sempre egli rivolge – se lo sanno ascoltare – l’annuncio e la promessa di salvezza: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio!”. R. M.