Venerdì 24 alle ore 18 il Pastore Ruggero Marchetti traccerà un profilo di Carlo Michelstaetter, filosofo e poeta goriziano, morto suicida a 23 anni nel 1910.
“Io so che parlo perché parlo ma che non persuaderò nessuno...” o Dell’impossibile libertà di giungere al possesso della propria vita e alla vera comunicazione con gli altri”.
Una sera di ottobre del 1910 si uccideva a Gorizia con un colpo di rivoltella alla tempia Carlo Michelstaetter, un giovane brillante studente universitario di 23 anni di origine ebraica.
Aveva appena terminato la tesi di laurea “La persuasione e la rettorica “ destinata a diventare uno dei testi filosofici più significativi della cultura italiana della prima metà del Novecento. Partendo dall’esame di questi due concetti in Platone e Aristotele, Michelstaetter dà loro un significato peculiare: la “persuasione” è il tentativo, sempre reso vano dall’irrimediabile manchevolezza della vita, di possedere sé stessi, la “rettorica” è l’insieme linguaggio, di convenzioni, istituzioni, che serve a occultare l’impossibilità di arrivare alla persuasione.
Michelstaetter non ha lasciato alcuna spiegazione del suo suicidio. Forse l’impossibilità di comprendere i suoi genitori, cui era molto legato; e forse anche la consapevolezza filosofico-esistenziale che se (come ha scritto) “Persuaso è chi ha in sé la sua vita,” non sarebbe mai arrivato a quell’avere e allora, meglio la morte che non un “esistenza-non-esistenza”, perché sempre inutilmente protesa a una pienezza di essere e di vita sognata e mai raggiungibile.
La vita di Carlo Michelstaetter, che qualcuno ha definito di un’ “incauta rapidità” , e la sua opera pongono con forza il problema del linguaggio, meglio, dell’afasia, cioè dell’impossibilità di un’autentica comunicazione fra gli esseri umani. E’ la frase che apre che apre la “Persuasione e la rettorica“, che è anche il titolo della conferenza,: “Io so che parlo perché parlo ma che non persuaderò nessuno...”; se non ho la mia vita e in definitiva non possiedo me stesso, come posso pensare e sperare di comunicarmi all’altro attraverso le mie parole? E’ la tragedia dell’incomunicabilità che pensiamo sia tipica del nostro tempo postmoderno, e che invece Michelstaetter aveva già intuito e vissuto più di un secolo fa…